La fiducia è una cosa strana. Siamo abituati a fidarci in maniera più o meno conscia tutti i giorni, di persone conosciute o sconosciute.
Ci fidiamo del conducente del treno che ci porta a destinazione, ci fidiamo del fatto che la sbarra del telepass si alzi al nostro passaggio, ci fidiamo del fatto che girando la chiave della macchina questa si accenda e si faccia condurre docilmente fino a destinazione, che effettuando una qualsiasi attività, chi era responsabile del funzionamento o della buona riuscita o addirittura della nostra incolumità, abbia fatto il suo dovere.
Poi ci fidiamo delle persone. Ci fidiamo del fatto che il nostro compagno o la nostra compagna ci comprenda sempre, ci fidiamo di fedeltà e amore e delle amicizie. Ci fidiamo in ambito lavorativo e del classico e lombardissimo “Ghe pensi mi”. Siamo portati a valutare la fiducia in una persona in un periodo di tempo ristretto rispetto all’intera rapportazione con la stessa e poi tendiamo a comportarci di conseguenza per il resto della rapportazione.
Quale fiducia è più difficile da ottenere? E quale viene più facilmente delusa?
Ovviamente quando si ricade nella fiducia interprersonale la delusione è grande in proporzione al livello di coinvolgimento che si ha con la stessa persona. Perché veniamo più spesso delusi dalla fiducia riposta interpersonalmente? Perché siamo coinvolti emotivamente, abbiamo costruito un rapporto di amicalità, di amicizia o addirittura oltre l’amicizia con la persona di cui abbiamo riposto fiducia ciecamente fino al momento in cui si aprono gli occhi.
Con queste premesse arriva poi il momento brutto in cui non sai come reagirà la persona alla tua richiesta (il più tranquilla possibile) di delucidazioni. Oppure un taglio netto? A volte non c’è possibilità di scelta, né in un caso né nell’altro.