Come mai un sistemista nel 2022 parla di una poesia di fine 1700?

E’ curioso come uno dei periodi più difficili della mia esistenza mi viene sempre in soccorso quando qualche contrasto o difficoltà mina il mio entusiasmo e la capacità di vivere o lavorare serenamente.

E’ curioso altresì il fatto che la risposta arrivi sempre puntuale dal 1800, da Samuel Taylor Coleridge, direttamente dalla conclusione del suo “The rhyme of the ancient mariner“, uno scritto del 1798 che mi colpì profondamente a scuola, avevo 17 anni, e mi investì con tutta la sua forza, per lo più pacata, e a tratti con una potenza enorme.

In questo scritto colgo il modo di affrontare l’ignoto (per quanto vogliamo raccontarcela nella vita di un imprenditore ciò capita tutti i giorni) e il compiere azioni che momentaneamente possono sembrare sensate e di cui ci si pente (a chi non capita?) e attribuire poi “conseguenze” a quelle azioni anche se non sono assolutamente correlate.

Chiaramente l’inglese di fine 1700 non aiuta in una lettura semplice e scorrevole ma è più semplice approcciarsi a questo scritto di quanto si possa immaginare.

Man mano che rimugino sugli eventi di questi giorni e cerco di trovare un distacco sufficiente per prendere una decisione, ecco che ritorna l’eco di Coleridge nella mia testa.

Per me sono stati anni difficili quelli della scuola, alcuni insegnanti cercavano di incasellare uno studente (io) fuori dagli schemi, in grado di passare dalla matematica al latino all’inglese antico come niente ma che lo faceva non seguendo gli schemi imposti, alla faccia della raccomandazione di tutti di “non studiare a compartimenti stagni”. Bene quel periodo mi ha insegnato (a posteriori perché la mia autostima si è costruita ben dopo) a credere in me, nelle mie intuizioni e nella mia capacità di analisi anche se mi scontro duramente con chi mi sta intorno. Ho avuto una professoressa di latino che pretendeva che rientrassi nei ranghi (assolutamente nulla di comportamentale, solo di studio e di apprendimento, in pratica facevo bene tutto ma senza lo sforzo degli altri studenti e mi piaceva divagare) e per punirmi mi interrogava ogni santo giorno dell’anno fino a trovare qualcosa a cui non sapessi rispondere. Ciò a scapito dello studio nelle altre materie nelle quali comunque riuscivo bene.

La professoressa di inglese mi disse che era arrabbiata con me perché con un briciolo di impegno in più sarei stato il suo migliore studente e a nulla valsero le mie obiezioni spiegando la situazione con la collega, non mi diede torto ma nemmeno ragione. Però mi insegnò che anche con del risentimento bisogna essere sempre onesti con chi abbiamo davanti.

Tutto questo excursus scolastico mi serve per spiegare il motivo per cui un sistemista, ingegnere, nel 2022 tira fuori dal cilindro Samuel Taylor Coleridge una mattina di fine agosto.

Bene, nei momenti di crisi, nei momenti in cui devo prendere una decisione sofferta, torno sempre su questa ballata, nella sua semplice complessità. Oggi ne ho riletto un bel pezzo, nei prossimi giorni la completerò perché, da imprenditore, ho colto dei paralleli grandi nella gestione di una azienda tutto sommato piccola con grande potenziale (come la nave nei confronti dell’oceano che però nel 1800 riesce ad arrivare nei pressi del Polo Sud) nel tumulto degli eventi di questo anno che potrebbe essere ricordato come uno dei più difficili dal punto di vista dell’economia globale.

Cosa mi coglie sempre di sorpresa di questa poesia? La frase finale. La cito spesso, ci penso ogni volta che le situazioni diventano impegnative, mi da sempre la forza di sfoderare un sorriso e mettere da parte avversità e preoccupazioni per tornare a concentrarmi su ciò che è importante e prendere le mie decisioni.

He went like one that hath been stunned,
And is of sense forlorn:
A sadder and a wiser man,
He rose the morrow morn.

Specialmente gli ultimi due versi, dei primi due ho una memoria abbastanza confusa circa la traduzione e il significato.

Con una traduzione abbastanza libera (in questo momento la mia insegnante di inglese delle scuole potrebbe avere un malore) sarebbe

“E il giorno successivo sorse un uomo più triste e più saggio.”

Che poi è quello che succederà. La tristezza di cui si parla non è quella che mi impedirà di sorridere e scherzare con chi mi circonda, non è quella che mi blocca in una situazione nella quale continuo a rimuginare su ciò che è andato storto, ma alla fine si risorge dalle difficoltà con una saggezza che si spera aiuti a non cacciarsi nuovamente nelle stesse situazioni e con una vena di tristezza in più, come le riparazioni dei vasi giapponesi fatte con dei materiali prezioni a rendere evidente un evento avverso ma con un materiale che arricchisca ciò che è la nuova vita e utilità di ciò che si era rotto.

La mia vita, un turbine

Il modo migliore per descrivere la mia vita in questo momento: un turbine. Un turbine di emozioni, impegni, soddisfazioni, amarezze e tutto ciò che la vita ci può riservare. Tutto insieme.

Come mi fa sentire questo? Sì, perché questa domanda non era nelle mie solite domande che mi sarei mai posto spontaneamente, fino a che non ho iniziato a sentire regolarmente un’amica che è anche diventata una mia dipendente poco tempo fa. Come mi fa sentire tutto questo? Mi fa sentire bene, vivo, ho dei bei successi, ho delle difficoltà, mica può andare tutto tutto bene in contemporanea, sai che noia? Però da quando mi pongo bene questa domanda il mio umore ne ha avuto un grande beneficio. Va bene, i problemi esistono; chi non ne ha? Ma tutto sommato…

Ho fondato un’azienda in un paese nuovo, senza grandi contatti, sono sopravvissuto a 2 lockdown e di recente (01.03.2022) ho assunto una seconda dipendente. Continuo a domandarmi se sto facendo le scelte giuste, se sia la strada giusta quella che sto percorrendo, ma mi sono anche reso conto che non mi manca la grinta e la capacità di mandare avanti tutto e la pressione non mi blocca, anzi, mi fa avere idee come quella di aprire una nuova attività, di diversificare, di proteggere il mio investimento.

Devo poter delegare per fare questo ma so che la persona che ho scelto per accompagnarmi lavorativamente parlando, da più di un anno, è degna di totale fiducia. In più negli anni in cui il destino è stato particolarmente duro nei miei confronti, ho intessuto relazioni che ora si rivelano essere giuste per questa mia nuova idea, e le reazioni di quello che ho proposto sono state di entusiasmo totale.

Grazie a tutti quelli che mi stanno vicini in questo momento, grazie alle mie collaboratrici che rendono il lavoro in ufficio sempre piacevole anche quando l’impegno è tanto, grazie a tutti quelli che stanno credendo in me, dopo quasi 15 anni di stillicidio lavorativo, finalmente tutto sembra andare come dovrebbe.

Però poi arriva la reincarnazione di Stalin a perturbare l’ambiente globale, stiamo a vedere. A quanto pare le crisi globali mi hanno portato bene fino ad ora.

Incertezze e certezze

Come mai in questo periodo sto vivendo il paradosso di avere certezze e in contemporanea incertezze. Questo secondo me è il paradosso del piccolo imprenditore, che non ha possibilità, in quanto la sua realtà è troppo piccola, di quelle che siano le certezze del futuro, ma al contempo ha delle certezze, tra cui il personale, i collaboratori, e i rapporti interpersonali.

Vengo da una realtà passata nella quale sono stato portato a diventare quasi sgradevole caratterialmente, ero combattuto tra l’essere gentile e il venire sfruttato. Purtroppo in Italia accorciare troppo le distanze significa aprirsi ai capricci della controparte, mettere in atto un comportamento che, in parte in maniera ricercata, viene considerato come una sorta di debolezza, una volta che sono cortese e che ci diamo del TU (che sul lavoro ho sempre maltollerato ma tant’è il mondo è cambiato ovunque) siamo “amici” e pertanto il cliente inizia a chiedere extra, sconti, cose che esulano dallo scopo principale della collaborazione.

Ora che lavoro in Svizzera, anche quando ho a che fare con altri italiani, il timore reverenziale e il maggior distacco che ti può dare la non certezza di essere connazionali, aiuta a mantenere le giuste distanze e quindi non cadere in questi problemi.

Ho avuto un anno frenetico, carico di soddisfazioni, la maggior parte delle quali, non mancando tra l’altro quelle lavorative, avvengono a livello interpersonale, il rendersi conto di essere un datore di lavoro non male, di riuscire a coinvolgere la gente, suscitare di nuovo fiducia nel prossimo e la riscoperta di una gentilezza che, magari solo di facciata, aiuta in tante cose.

E’ dura lavorare in Svizzera da italiano, molto dura, specialmente credo per merito di molti, anche se non credo siano la maggioranza, che hanno approcciato il paese ospitante come se non fossero nemmeno usciti dal territorio nazionale. Questo in un paese che tiene di più alla forma vuol dire farsi un brutto nome, ma farlo anche a chi non centra niente e cerca di approcciarsi con un modo di porsi basato sul rispetto.

Nonostante tutto trovo un paese, delle istituzioni e della gente che si fida, perché si capisce che mi sto muovendo il più possibile rispettando le regole che scopro man mano. E’ bello al secondo anno di attività andare a scegliere un’automobile, avere il leasing approvato in 72 ore e il veicolo in meno di una settimana. E’ bello il clima di fiducia che si respira, un posto dove ricevi la merce, la fattura successivamente e 30 giorni di tempo per pagarla. Da ex imprenditore italiano è qualcosa a cui non ci si abitua facilmente anche se dovrebbero essere la normalità e comunque, sempre per lo stesso motivo per cui non ci si abitua facilmente, si capisce bene il perché di queste complicazioni.

L’incertezza è di quanto lavoro arriverà e quando arriverà, la certezza è che arriva e che sto costruendo una realtà che crescerà con me. La certezza è che le istituzioni non provino ad affossarmi ma invece mi sostengono, la certezza è che quando chiamo qualcuno che deve darmi un servizio faccia di tutto per aiutarmi, che in fondo dovrebbe essere la norma ma purtroppo dalla parte del confine a cui sono abituato non lo è nemmeno un po’.

La certezza più grande è che sono riuscito a progredire a livello umano a tal punto da riuscire a lavorare per un anno con una persona che rimane legata al suo posto di lavoro per tantissimi motivi tra i quali la retribuzione e il lavoro in sé sono la parte meno importante anche se hanno la loro importanza basilare.