Comfort zone

Non sono un entusiasta utilizzatore delle parole straniere ma mi rendo conto che non saprei come tradurre questa espressione che si è diffusa e si sta diffondendo anche nel nostro quotidiano. E’ buffo, l’inglese è una lingua molto più semplice dell’italiano, ma il mondo anglosassone è facile che abbia un nome per quelle cose per cui a noi servono invece allocuzioni più o meno complesse.

Di cosa si tratta? Non lo so con precisione, al solito non sono uno psicologo né ho fatto studi approfonditi sulla psiche umana ma tendo a basarmi sul mio vissuto e su una buona dose di empatiache mi permette di leggere a volte, più o meno profondamente, sotto la superficie di chi mi sta vicino. La comfort zone è tutto quella consuetudine di abitudine, persone e comportamenti che ci fanno stare bene, nella quale tutti più o meno tendiamo a rinchiuderci isolandoci poi alla fine dal mondo reale che è appena fuori dalla cosiddetta comfort zone.

Alle volte si ricerca proprio situazioni che siano fuori dalla comfort zone (appena fuori) per sentirci più vivi e per apprezzare meglio le situazioni consolidate che sono al suo interno. A volte è bello sentirsi a disagio in maniera controllata. Penso che sia una cosa simile al brivido che cerca il giocatore d’azzardo, anche se in maniera più limitata.

Tempus fugit

Preferisco dire che il tempo corre piuttosto che la vita è breve, perché tutto è relativo. La vita è breve a seconda di come la viviamo. Se la lasciamo scorrere via è dannatamente breve, se siamo in momenti in cui la vita ci mette alla prova il tempo alle volte sembra rallentarsi, e non finire mai. Se poi riusciamo a incanalare il nostro tempo in qualcosa di bello, entusiasmante, stimolante, allora ci troviamo di fronte a un paradosso. La vita si carica di emozioni, il vissuto si gonfia, sembra che abbiamo fatto un milione di cose ma la sera cala inesorabile e i giorni si susseguono a un ritmo vorticoso.

Per questo motivo ho iniziato (magari qualcuno si è anche domandato il perché di certe mie esternazioni) a esprimere quello che provo nei confronti delle persone a cui sono più legato, alle persone importanti della mia vita, sia esso un “Ti voglio bene” che lo spiegare all’interessato/a che in qualunque momento passo in un determinato punto della città, il mio pensiero si rivolge automaticamente ad una persona. Può anche essere una richiesta di una foto insieme.

Cosa sta succedendo? Sta succedendo che mi sono stancato dell’approccio all’esistenza che mi ha portato a scrivere queste riflessioni, succede che il tempo cancella le memorie ma insegna anche con gli errori commessi e succede che non voglio nascondere i miei sentimenti alle persone che mi sono care. Non ha senso il modo in cui siamo stati cresciuti che ci obbliga a tenere sempre tutto dentro. Perché non dovrei dire a una persona che le voglio bene? Perché? Che male c’è? A volte va bene che sia implicito, a volte questo sentimento va esternato.

Davvero ha senso il mostrare a sé stessi e agli altri che non si ha bisogno di nessuno? Che si basta a sé stessi e che siamo forti?