Timezone

Da piccolo, guardavo una serie televisiva (e chi non l’ha guardata?) in cui spesso passava la frase:”Spazio, ultima frontiera”.

Cosa c’entra con quello che sto per scrivere? Beh, in quella serie tutti i sistemi informatici parlavano tra di loro, ogni tecnico era in grado di mettere mano su qualsiasi sistema alieno e tutto funzionava alla perfezione.

Di solito mi sposto in macchina, ma tant’è ogni tanto mi tocca e venerdì devo prendere il treno. Prima di tutto lo scontro con il sito per comprare i biglietti che sembrava uno spacciatore fuori dalla metropolitana a offrirmi cose di cui non ho bisogno e non voglio, alla fine ho preso un’offerta senza accorgermene, quindi il viaggio di ritorno non sono con la persona con cui dovrei viaggiare.

Stamattina trovo nell’email una bellissima email con il biglietto, il riepilogo e altri due allegati. Sono i due inviti per inserire i viaggi nel calendario aziendale.

Orbene, giugno al punto. Accetto gli inviti e magicamente compaiono i viaggi sul calendario. Occavolo, sono disallineati alla mia zona dell’appuntamento. Sono in ritardo di un’ora. Panico, ho sbagliato i treni… No, semplicemente qualche genio ha pensato bene di usare gli orari italiani e mandare l’invito con la timezione UTC, per cui, avendo correttamente inserito sul mio calendario GMT+1, gli appuntamenti diligentemente inviati per email, venivano visualizzati tradotti sul fuso orario italiano, facendomi spaventare per nulla.

E siamo nel 2017, e un semplice campo come quello del fuso orario crea problemi a qualche sviluppatore o sistemista.

Il dato

Il dato è quanto di più importante ci sia in questa epoca. Siamo sommersi dai dati, per noi sono tutti importantissimi, eppure non li proteggiamo. Oppure non siamo disposti a usare servizi preconfezionati, che comunque danno un’esclusione di responsabilità su quello che può succedere.

Io faccio parte di chi vuole proteggersi da solo, niente servizi di terzi a meno che non siano il puro storage su cui implemento le mie routine collaudate. Ovviamente se lo storage non è in mano mia, tutto è crittografato a dovere.

Il dato ha una sua peculiarità beffarda: è sia difficile da conservare, se non si deve perderlo, che difficile da distruggere, qualora lo si volesse distruggere.

Bene, in 12 anni di utilizzo dei sistemi ho perso dei dati solo due volte:

  1. Per colpa di un disco fisso fallato.
  2. Per colpa probabilmente di un bug su LVM, o meglio sulla versione di proxmox di lvm.

Ovviamente capita quando sei stanco, inizi a dubitare di te stesso, poi ripercorri tutti i tuoi passi e capisci che non hai sbagliato nulla. Certo, c’erano modi e modi di fare quello che stavo facendo e ho scelto il più becero, però quello che è capitato non doveva capitare.

Ovviamente, santo backup, alla fine non ho perso nulla di che, e con un pizzico di fortuna, nonostante il backup fosse di quasi 24 ore prima, nulla di rilevante era stato modificato sul sistema sparito sotto ai miei occhi dopo aver scritto in un altro logical volume.

Quindi mi trovo di sabato sera a lavorare recitando:”Il backup è buono, il backup è bello, il backup ti salva le chiappette!”

E ovviamente la solita riflessione sulla natura beffarda del dato, spiegata mille volte ai clienti che non capiscono il perché i dischi vanno cancellati in un certo modo se si vuole rivendere il materiale informatico, o non capiscono il perché devono spendere per il backup.

Buon fine settimana a tutti.

Fotografia

Chi mi conosce già lo sa che mi diletto con la macchina fotografica. E non è solo un diletto in quanto tale ma è un modo per fermarmi, avere qualcosa su cui riflettere, i cui effetti magari non si vedono subito (di recente ho ripreso a usare la pellicola).

Poi succede che ti fai prendere la mano, e dopo una settimana impegnativa, carica di levatacce, lavoro, stress e stanchezza, che fai? Programmi di essere alla darsena alle 6:00 per avere il tempo di trovare la giusta angolazione per il sorgere del sole alle 7:15 di questo sabato 11 novembre 2017.

Pianifichi di uscire con treppiede, corpo analogico e grandangolo. Pellicola in bianco e nero a grana grossa e un 20mm per trovare uno scorcio a pelo d’acqua e con la nebbiolina mattutina. Riuscirò a non portarmi dietro tutto il corredo?

Per non affogare

La vita ha un modo strano di insegnare, ci pone sin da principio delle sfide. Non sono mai insormontabili, le abbiamo sempre superate in fondo, anche quando sembravano enormi. È che non ci ricordiamo la difficoltà di imparare a parlare, a camminare, e tutte le nostre prime conquiste, che sono sicuramente le più difficili.

Quando diventiamo adulti, poi, cerchiamo di crearci una routine e le situazioni che ci presenta la vita si ripetono in maniera prevedibile e sappiamo sempre come affrontarle. Fino a che qualcosa non rompe il  flusso dei giorni che si susseguono con qualcosa di nuovo, mai visto. E’ naturale cercare di ricondurre la situazione a qualcosa di noto e usuale, in modo da “giocare in casa” di applicare un approccio conosciuto a una situazione nuova, fino a che non si capisce che il solito approccio è inutile. Allora resta una sola opzione, che è quella di imparare a nuotare buttandosi in acqua.

Il sapore dell’offline

Ho sempre vissuto con grande entusiasmo tutta la tecnologia, ma ultimamente sto diventando un po’ scettico.

Questo scetticismo deriva dal fatto che la tecnologia è passata dall’essere un ausilio alla nostra vita, all’essere qualcosa che bisogna per forza avere (non importa se non la si comprende o usa a fondo) altrimenti non sei nessuno.

E i produttori cercano sempre di più di creare coinvolgimento, fare in modo che il possessore dello strumento tecnologico senta il bisogno di usarlo di più di quanto vorrebbe usarlo.

Mi sto disiscrivendo da Facebook. Ho maturato questa decisione per molti motivi, uno dei quali, non sopporto più la volontà di creare coinvolgimento forzosamente. Non ce la faccio. Ultimamente erano tutti messaggi:”Wow, hai pubblicato questa settimana e X persone hanno aggiunto reazioni! Continua così!” oppure:”I tuoi amici non sanno cosa stai facendo, pubblica!” Ora, per quanto io possa capire il paradigma per cui se uno strumento è gratuito, allora chi te lo offre guadagna con quello che fai con lo strumento; venire incitato a usarlo, in maniera assillante, non è cosa che mi piaccia. Aggiungiamoci i continui cambi di funzionamento dello strumento e il fatto che è impossibile uscire dalla propria “bolla”, mi ha fatto riflettere che, in fondo, non mi serve nemmeno a tenere i contatti con la gente che non vedo e non sento spesso.

Il mio annuncio di disiscrizione, fatto pubblico, con visibilità a tutti, ha riscosso commenti e messaggi privati, solamente da persone con cui mi sento regolarmente tramite facebook, oppure che vedo spesso nella vita reale. E di questa gente, qualcuno non si è nemmeno accorto del post con ricondivisioni in orari diversi e giorni successivi. Su questo lo strumento principe scelto dalle persone per stare in contatto, con me, ha fallito miseramente.

E’ stato bello ricevere messaggi, numeri di telefono e inviti a farsi una birra. molto bello. La frequentazione offline ha tutto un altro sapore.

Negli anni ’90 e i primi 2000, io ero costantemente su internet. E questo dalla maggioranza dalle persone era considerato strano. Era una tecnologia con potenzialità infinite. Ci credevo, credevo sul serio nel cyberspazio, che un giorno o l’altro sarebbe stato possibile visitare posti senza spostarsi da casa, esplorare i musei. La realtà virtuale. Alla fine tutto questo ha avuto ricadute per lo più ludiche e di passatempo, a volte, fine a se stesso.

Ho vissuto il periodo dei blog, ne ho avuti due di cui uno di discreto successo, entrambi nell’anonimato più totale. Ora voglio tornare a scrivere. E a incontrare le persone per avere novità sulla loro vita.

Alla prossima