Tanto tempo

L’ultima volta che ho scritto su questo spazio è stato il 27 agosto scorso, quasi 8 mesi fa.

Nel frattempo sono successe tante cose, la mia azienda che si afferma in un mercato difficile, molti riconoscimenti professionali e personali sono arrivati. Qualcuno ha lasciato la mia vita, in un modo che ha fatto male, ma chi sono io per contrastare queste decisioni? A volte si commettono degli errori di valutazione e tendo a sopravvalutare alcune persone.

La mia vita è un cambiamento continuo in questo periodo, cerco di mantenermi in forma fisicamente e sto iniziando a dominare il mio carattere, cosa non da poco tra l’altro.

Mi sono trasferito in una casa con il giardino e ho scoperto che la cura dello stesso mi da grandi soddisfazioni e aiuta a riordinare i pensieri.

Ho voluto appuntare questo momento di consapevolezza. Tornerò a scrivere prima o poi.

Come mai un sistemista nel 2022 parla di una poesia di fine 1700?

E’ curioso come uno dei periodi più difficili della mia esistenza mi viene sempre in soccorso quando qualche contrasto o difficoltà mina il mio entusiasmo e la capacità di vivere o lavorare serenamente.

E’ curioso altresì il fatto che la risposta arrivi sempre puntuale dal 1800, da Samuel Taylor Coleridge, direttamente dalla conclusione del suo “The rhyme of the ancient mariner“, uno scritto del 1798 che mi colpì profondamente a scuola, avevo 17 anni, e mi investì con tutta la sua forza, per lo più pacata, e a tratti con una potenza enorme.

In questo scritto colgo il modo di affrontare l’ignoto (per quanto vogliamo raccontarcela nella vita di un imprenditore ciò capita tutti i giorni) e il compiere azioni che momentaneamente possono sembrare sensate e di cui ci si pente (a chi non capita?) e attribuire poi “conseguenze” a quelle azioni anche se non sono assolutamente correlate.

Chiaramente l’inglese di fine 1700 non aiuta in una lettura semplice e scorrevole ma è più semplice approcciarsi a questo scritto di quanto si possa immaginare.

Man mano che rimugino sugli eventi di questi giorni e cerco di trovare un distacco sufficiente per prendere una decisione, ecco che ritorna l’eco di Coleridge nella mia testa.

Per me sono stati anni difficili quelli della scuola, alcuni insegnanti cercavano di incasellare uno studente (io) fuori dagli schemi, in grado di passare dalla matematica al latino all’inglese antico come niente ma che lo faceva non seguendo gli schemi imposti, alla faccia della raccomandazione di tutti di “non studiare a compartimenti stagni”. Bene quel periodo mi ha insegnato (a posteriori perché la mia autostima si è costruita ben dopo) a credere in me, nelle mie intuizioni e nella mia capacità di analisi anche se mi scontro duramente con chi mi sta intorno. Ho avuto una professoressa di latino che pretendeva che rientrassi nei ranghi (assolutamente nulla di comportamentale, solo di studio e di apprendimento, in pratica facevo bene tutto ma senza lo sforzo degli altri studenti e mi piaceva divagare) e per punirmi mi interrogava ogni santo giorno dell’anno fino a trovare qualcosa a cui non sapessi rispondere. Ciò a scapito dello studio nelle altre materie nelle quali comunque riuscivo bene.

La professoressa di inglese mi disse che era arrabbiata con me perché con un briciolo di impegno in più sarei stato il suo migliore studente e a nulla valsero le mie obiezioni spiegando la situazione con la collega, non mi diede torto ma nemmeno ragione. Però mi insegnò che anche con del risentimento bisogna essere sempre onesti con chi abbiamo davanti.

Tutto questo excursus scolastico mi serve per spiegare il motivo per cui un sistemista, ingegnere, nel 2022 tira fuori dal cilindro Samuel Taylor Coleridge una mattina di fine agosto.

Bene, nei momenti di crisi, nei momenti in cui devo prendere una decisione sofferta, torno sempre su questa ballata, nella sua semplice complessità. Oggi ne ho riletto un bel pezzo, nei prossimi giorni la completerò perché, da imprenditore, ho colto dei paralleli grandi nella gestione di una azienda tutto sommato piccola con grande potenziale (come la nave nei confronti dell’oceano che però nel 1800 riesce ad arrivare nei pressi del Polo Sud) nel tumulto degli eventi di questo anno che potrebbe essere ricordato come uno dei più difficili dal punto di vista dell’economia globale.

Cosa mi coglie sempre di sorpresa di questa poesia? La frase finale. La cito spesso, ci penso ogni volta che le situazioni diventano impegnative, mi da sempre la forza di sfoderare un sorriso e mettere da parte avversità e preoccupazioni per tornare a concentrarmi su ciò che è importante e prendere le mie decisioni.

He went like one that hath been stunned,
And is of sense forlorn:
A sadder and a wiser man,
He rose the morrow morn.

Specialmente gli ultimi due versi, dei primi due ho una memoria abbastanza confusa circa la traduzione e il significato.

Con una traduzione abbastanza libera (in questo momento la mia insegnante di inglese delle scuole potrebbe avere un malore) sarebbe

“E il giorno successivo sorse un uomo più triste e più saggio.”

Che poi è quello che succederà. La tristezza di cui si parla non è quella che mi impedirà di sorridere e scherzare con chi mi circonda, non è quella che mi blocca in una situazione nella quale continuo a rimuginare su ciò che è andato storto, ma alla fine si risorge dalle difficoltà con una saggezza che si spera aiuti a non cacciarsi nuovamente nelle stesse situazioni e con una vena di tristezza in più, come le riparazioni dei vasi giapponesi fatte con dei materiali prezioni a rendere evidente un evento avverso ma con un materiale che arricchisca ciò che è la nuova vita e utilità di ciò che si era rotto.

Fede

La pandemia mi ha cambiato. E chi non è stato cambiato dalla pandemia?

La mia componente spirituale si è distaccata dalle prescrizioni che mi portavano ad andare alla messa la domenica, consapevole di ciò che stessi facendo, ma in maniera già stanca da diverso tempo.

Ho perso la fede? Non credo proprio e credo sia difficile da spiegare ciò che mi sta capitando anche perché non è del tutto chiaro nemmeno a me.

Ieri ho avuto un’esperienza che mi ha messo un po’ a disagio e mi ha confermato che non ho perso la fede bensì sto attraversando un momento di crisi che attualmente non so dove mi porterà.

Sono stato a fare un gita, trovandomi in vacanza, a un monastero francescando, uno di quelli particolarmente importanti per i devoti del santo. Avevo già visitato tra il 2009 e il 2011 (non ricordo di preciso l’anno) lo stesso posto e, complice il diverso periodo dell’anno, sono stato travolto da questa sensazione di disagio nei confronti di tutto ciò che gira attorno alla fede.

Ho visto, da imprenditore non è difficile, subito la macchina da soldi in moto. Non ho mai biasimato questo lato di trarre profitto dal turismo, fino a che non diventa qualcosa di insostenibile. Il pranzo a 13€ gestito alla guisa di una mensa va benissimo, anche i frati di qualcosa debbono campare. Non mancano i prodotti del territorio, i prodotti del lavoro dei frati e tutto ciò serve a mantenere in efficienza un luogo unico, molto bello, dove sicuramente le persone si recano per i più disparati motivi.

Un po’ mi hanno sempre fatto storcere il naso i devoti a San Francesco, mi sono sempre domandato come fosse possibile avere sempre un sorriso, un sorriso che mi è sempre sembrato forzato o comunque una “maschera” davanti a ciò che la vita ci infligge costantemente, perché nessuno è immune ai colpi che ci sferra la vita. Preferisco di gran lunga avere a che fare con una persona il cui umore è altalenante ma che quando sorride, lo fa sul serio. Poi magari sono solo io che non ho mai capito a fondo la loro filosofia di fondo.

Diciamo che viste le premesse non ero nell’ambiente ideale per capire quanto potessi essermi allontanato dalla mia fede.

Ho scoperto che la mia fede c’è. Forse più consapevole di prima, ma è come in pausa. O meglio, sono in pausa le esternazioni e la partecipazione ai sacramenti. Questa è una scelta consapevole perché in un momento di crisi, un momento in cui non mi è chiaro in che direzione sto andando, non riesco a essere coerente con un messaggio molto importante e molto profondo, pertanto non riesco a partecipare attivamente a questa vita.

In ultimo ieri ho visto molta gente. Molta gente che ha raggiunto il luogo come se fosse un’attrazione turistica qualsiasi. Molta gente che non si cura minimamente che i bambini (magari viaggiano con 6-7 figli) scorrazzino liberamente in luoghi di preghiera non provando minimamente a contenere l’esuberanza dei più piccoli in situazioni dove ci sono altri che magari (e non sto parlando di me) stanno cercando un raccoglimento per pregare.

Devo provare a tornare fuori stagione turistica, a cercare di capire quali emozioni si scateneranno in un momento in cui riesco a fare silenzio dentro e fuori di me.

Già aver visto che qualcosa si è mosso dentro, in una maniera che non riesco a capire, è già un segnale che mi indica che non tutto è perduto e che devo fare ancora della strada per capire come si è evoluto questo mio lato.

Una cosa per me è diventata certa. Dio è ovunque, questi luoghi servono agli uomini ma non lo rendono più vicino. La religione dovrebbe indirizzarci semplicemente a cogliere questa presenza che è sia trascendente che immanente nell’esistenza di chi crede ma queste linee guida sono sia precise che non precise allo stesso modo. In ultimo la religione non deve essere una barriera, una gabbia nella quale rinchiuderci. Paradossalmente sento molto di più il peso etico delle mie scelte ora che sono in crisi che prima quando non lo ero.

Descriversi

Descriversi è la cosa più difficile che esista, per lo meno per me.

Capita però che tu debba farlo per lavoro e ti accorgi che, in fondo, dedichi tanto tempo a tante cose ma mai a te stesso. Eh sì perché più le persone ci sono vicine, più le diamo per scontate e chi c’è di più vicino a noi che non noi stessi?

Quindi in questi giorni sto cercando prima di tutto di capire io stesso chi sono, cosa faccio, come descrivere il mio lavoro a chi non ne capisce nulla. Cose semplici si potrebbe pensare. Tutt’altro!

Quindi, visto che so che leggerai questo post, sappi che mi stai dando un’opportunità grande, anche se comunque impegnativa! 🙂

L’isola felice

Oggi in ufficio mi è stato rammentato il patto di creare e mantenere l’isola felice. L’isola felice è un luogo dove, qualunque cosa accada al di fuori, la serenità e la tranquillità vengono preservate.

Per tutta una serie di ragioni questo luogo è nato spontaneamente, senza troppe pretese, alimentato dal rispetto e dalla stima reciproca, dalla condivisione di un ideale congiunto, di un obiettivo importante e condiviso.

Ebbene ogni tanto la stanchezza, la fatica, e la fatica fanno entrare qualcosa che intacca l’atmosfera dell’isola felice. Di solito è colpa mia.

Oggi
ho ricevuto
una lezione magistrale;
mi ci voleva.
Grazie.

La mia vita, un turbine

Il modo migliore per descrivere la mia vita in questo momento: un turbine. Un turbine di emozioni, impegni, soddisfazioni, amarezze e tutto ciò che la vita ci può riservare. Tutto insieme.

Come mi fa sentire questo? Sì, perché questa domanda non era nelle mie solite domande che mi sarei mai posto spontaneamente, fino a che non ho iniziato a sentire regolarmente un’amica che è anche diventata una mia dipendente poco tempo fa. Come mi fa sentire tutto questo? Mi fa sentire bene, vivo, ho dei bei successi, ho delle difficoltà, mica può andare tutto tutto bene in contemporanea, sai che noia? Però da quando mi pongo bene questa domanda il mio umore ne ha avuto un grande beneficio. Va bene, i problemi esistono; chi non ne ha? Ma tutto sommato…

Ho fondato un’azienda in un paese nuovo, senza grandi contatti, sono sopravvissuto a 2 lockdown e di recente (01.03.2022) ho assunto una seconda dipendente. Continuo a domandarmi se sto facendo le scelte giuste, se sia la strada giusta quella che sto percorrendo, ma mi sono anche reso conto che non mi manca la grinta e la capacità di mandare avanti tutto e la pressione non mi blocca, anzi, mi fa avere idee come quella di aprire una nuova attività, di diversificare, di proteggere il mio investimento.

Devo poter delegare per fare questo ma so che la persona che ho scelto per accompagnarmi lavorativamente parlando, da più di un anno, è degna di totale fiducia. In più negli anni in cui il destino è stato particolarmente duro nei miei confronti, ho intessuto relazioni che ora si rivelano essere giuste per questa mia nuova idea, e le reazioni di quello che ho proposto sono state di entusiasmo totale.

Grazie a tutti quelli che mi stanno vicini in questo momento, grazie alle mie collaboratrici che rendono il lavoro in ufficio sempre piacevole anche quando l’impegno è tanto, grazie a tutti quelli che stanno credendo in me, dopo quasi 15 anni di stillicidio lavorativo, finalmente tutto sembra andare come dovrebbe.

Però poi arriva la reincarnazione di Stalin a perturbare l’ambiente globale, stiamo a vedere. A quanto pare le crisi globali mi hanno portato bene fino ad ora.

Incertezze e certezze

Come mai in questo periodo sto vivendo il paradosso di avere certezze e in contemporanea incertezze. Questo secondo me è il paradosso del piccolo imprenditore, che non ha possibilità, in quanto la sua realtà è troppo piccola, di quelle che siano le certezze del futuro, ma al contempo ha delle certezze, tra cui il personale, i collaboratori, e i rapporti interpersonali.

Vengo da una realtà passata nella quale sono stato portato a diventare quasi sgradevole caratterialmente, ero combattuto tra l’essere gentile e il venire sfruttato. Purtroppo in Italia accorciare troppo le distanze significa aprirsi ai capricci della controparte, mettere in atto un comportamento che, in parte in maniera ricercata, viene considerato come una sorta di debolezza, una volta che sono cortese e che ci diamo del TU (che sul lavoro ho sempre maltollerato ma tant’è il mondo è cambiato ovunque) siamo “amici” e pertanto il cliente inizia a chiedere extra, sconti, cose che esulano dallo scopo principale della collaborazione.

Ora che lavoro in Svizzera, anche quando ho a che fare con altri italiani, il timore reverenziale e il maggior distacco che ti può dare la non certezza di essere connazionali, aiuta a mantenere le giuste distanze e quindi non cadere in questi problemi.

Ho avuto un anno frenetico, carico di soddisfazioni, la maggior parte delle quali, non mancando tra l’altro quelle lavorative, avvengono a livello interpersonale, il rendersi conto di essere un datore di lavoro non male, di riuscire a coinvolgere la gente, suscitare di nuovo fiducia nel prossimo e la riscoperta di una gentilezza che, magari solo di facciata, aiuta in tante cose.

E’ dura lavorare in Svizzera da italiano, molto dura, specialmente credo per merito di molti, anche se non credo siano la maggioranza, che hanno approcciato il paese ospitante come se non fossero nemmeno usciti dal territorio nazionale. Questo in un paese che tiene di più alla forma vuol dire farsi un brutto nome, ma farlo anche a chi non centra niente e cerca di approcciarsi con un modo di porsi basato sul rispetto.

Nonostante tutto trovo un paese, delle istituzioni e della gente che si fida, perché si capisce che mi sto muovendo il più possibile rispettando le regole che scopro man mano. E’ bello al secondo anno di attività andare a scegliere un’automobile, avere il leasing approvato in 72 ore e il veicolo in meno di una settimana. E’ bello il clima di fiducia che si respira, un posto dove ricevi la merce, la fattura successivamente e 30 giorni di tempo per pagarla. Da ex imprenditore italiano è qualcosa a cui non ci si abitua facilmente anche se dovrebbero essere la normalità e comunque, sempre per lo stesso motivo per cui non ci si abitua facilmente, si capisce bene il perché di queste complicazioni.

L’incertezza è di quanto lavoro arriverà e quando arriverà, la certezza è che arriva e che sto costruendo una realtà che crescerà con me. La certezza è che le istituzioni non provino ad affossarmi ma invece mi sostengono, la certezza è che quando chiamo qualcuno che deve darmi un servizio faccia di tutto per aiutarmi, che in fondo dovrebbe essere la norma ma purtroppo dalla parte del confine a cui sono abituato non lo è nemmeno un po’.

La certezza più grande è che sono riuscito a progredire a livello umano a tal punto da riuscire a lavorare per un anno con una persona che rimane legata al suo posto di lavoro per tantissimi motivi tra i quali la retribuzione e il lavoro in sé sono la parte meno importante anche se hanno la loro importanza basilare.

40

Ebbene sì, sto per compiere 40 anni, è tutto così strano, fino a poco tempo fa ero scorbutico, nervoso, senza particolari interessi… Ora invece vedo tutto in maniera diversa. Continua l’entusiasmo descritto nel post precedente. Non ho molto altro da dire ora. 🙂

Entusiasmo

Entusiasmo, è questa la parola che descrive me stesso da un po’ di tempo a questa parte. C’è fermento, c’è movimento, ci sono novità, ho ripreso coraggio e il lavoro ne risente positivamente. Sorrido, sono più paziente, mi arrabbio di meno… Mi ci voleva proprio!

Mi rendo conto che sia più difficile scrivere in queste situazioni ma è bello quando la gente si fa avanti per conoscerti, che chiede la possibilità di parlare, di aprirsi a collaborazioni.

Ecco perché non sto scrivendo molto in questo periodo.