Non tutto è pubblicabile

Non qualsiasi mio pensiero è pubblicabile, una volta avevo un blog anonimo su cui pubblicavo cose molto personali, ora preferisco avere uno spazio chiaramente riconducibile a me, ma filtrare il grado di condivisione di quello che scrivo.

Ovviamente mi ricordo sempre che questo spazio è per me e non per chi legge e spesso io non rileggo.

Tuttavia ho dovuto mettere in chiaro delle idee e delle situazioni che non sono disposto a condividere se non che con le persone direttamente interessate. Per la prima volta però aver scritto quello che sentivo che doveva uscire, mi ha fatto male. E’ stato un male liberatorio perché piano piano se ne sta andando, ma è stato un peso così grande che non ho potuto sollevare e spostarlo per farlo uscire ma ho dovuto trascinarlo fuori, lasciando una scia di “detriti” e di sofferenza. Mi ha fatto male dentro trascinare fuori il peso al quale, in fin dei conti, avevo anche fatto l’abitudine, non lo sentivo più tutti i giorni… Invece ho dovuto affrontare questa situazione e tirare fuori quello che mi suscita.

E ora sto scrivendo di avere scritto con una ricorsione splendida ed elegante, per scaricare la tensione che ho accumulato al posto di scaricare, scrivendo la prima volta.

Fosse un tema alle superiori il passaggio sopra avrebbe una riga blu a lato con appuntato “pensiero contorto” ma in fondo, questo spazio serve a me.

Posso offrirti un caffé?

Sono situazioni che ti lasciano perplesso, perché si lasciano dietro un senso profondo di incredulità e perplessità che non se ne vanno nemmeno dopo diverso tempo. E si sa che il tempo di solito appiana tutto.

Mattina lavorativa, suona il telefono e mi chiedono istruzioni su dove venire per ritirare un collo voluminoso in ufficio. Il trasportatore è uno dei lavori più faticosi e semplici al tempo stesso ma non è corretto dire che non richieda il giusto livello di attenzione.

Arrivano giustamente in due e noto che sulla documentazione c’è un errore, chiamano la sede centrale e devono attendere una risposta.

“Posso offrirvi un caffé, dell’acqua?” mi viene spontaneo chiedere.

Il “capo” rifiuta, come fanno quelli abituati a mille offerte al giorno, mentre il “ragazzo” (anche se sospetto fosse anagraficamente maggiore del “capo”) mi guarda dritto e mi chiede:”Davvero?” guarda il “capo” e chiede:”Posso?”, confermiamo entrambi e mi fa un sorriso che raramente ho visto:”Nessuno mi aveva mai offerto un caffé prima, grazie!”

Ecco.

Ora mi domanderete come mai sono perplesso. Beh, il “ragazzo” è nero. Ma in che razza di società siamo se nel 2017 un “ragazzo” (sospetto fosse più grande di me anagraficamente) di colore si debba commuovere perché faccio una cosa così semplcie come offrirgli un caffè?

Ignoto

Santa Maria de l'Assunciòn Castro-Urdiales
Santa Maria de l’Assunciòn Castro-Urdiales

Una porta, lavorata quanto basta, tutto sommato sobria, a custodia di? Finché non la apri non lo saprai mai. E quindi cosa bisogna fare? Aprirla ed entrare, o almeno per guardare.

In questo caso mi sono trovato di fronte una cosa del tutto inaspettata, questa chiesa grande, con parti di tetto e di pareti mancanti (probabilmente crollate un tempo) ma tutt’ora in uso, con le rondini che entravano ed uscivano e riempivano le navate con il caratteristico eco di qualsivoglia chiesa. Semplicemente incredibile prima che avessi varcato la soglia.

Lo scrisse anche Leopardi ne “L’infinito”

…e mi sovvien l’eterno…

Dove lo sguardo non arriva parte la fantasia, o come mi disse una persona lasciandomi di sasso con una affermazione che sfiora l’ovvio ma andava espressa.

di solito le cose che non si conoscono suscitano curiosità

Già ed è per questo che questa foto mi piace particolarmente perché dietro quella porta può celarsi qualsiasi cosa, e ovviamente la curiosità galoppa.

Mi domando come sarebbe il mondo senza curiosità… Probabilmente sarebbe molto noioso.

Presente, futuro e…

Quanto sto per scrivere risulta un po’ confuso anche a me…

Sono in una fase della mia vita in cui il tempo per fare ciò che mi piace me lo devo ritagliare, sono contento degli avvenimenti che mi hanno portato a questo e so che a breve sarà ancora peggio, ma so anche che migliorerà. Cerco di concentrarmi su un problema alla volta, su quello che i latini chiamavano “Hic et nunc” ma di contro le responsabilità della vita mi impongono di avere sempre un occhio puntato al futuro, non posso occuparmi solo dell’immanente, ma purtroppo devo anche preoccuparmi dell’imminente e pensare anche a che direzione dare al timone che stringo che da la direzione alla mia vita.

Quello che sto per scrivere non ha delle fonti verificabili, e onestamente l’ho letto talmente tanto tempo fa da non ricordare nemmeno quando. Probabilmente era alle medie quando, avendo un cognome prossimo alla fine dell’elenco, la professoressa chiamava in ordine alfabetico per far scegliere dalla “biblioteca” in dotazione ad ogni classe, un volume da leggere nel periodo al fondo del quale tutti i volumi sarebbero stati riposti e si sarebbe scelto nuovamente. Mi capitò un libro sui Nativi Americani (quando ancora non era politicamente scorretto chiamarli genericamente Indiani d’america) che presentava alcune delle vicende note di scontro contro l’uomo bianco, visti dal punto di vista del popolo invaso. In questo libro c’era un inciso in cui si presentava l’uomo che percorre la sua esistenza come un gambero, con il suo futuro alle spalle, per questo il passato ci è chiaro in maniera tanto più netta quanto è recente e il futuro è così difficile da conoscere. Questa analogia in questo periodo mi viene spesso in mente e sorrido.

Il passato è poi così chiaro? Il modo che il nostro cervello ha di immagazzinare i ricordi è particolare e dipende anche dalle emozioni che viviamo nel momento in cui viviamo un particolare evento. Lo sa chiunque sia sposato che lo stesso evento può venire ricordato in modo diverso dai facenti parte la coppia e a nulla valgono le discussioni, uno dei due alla fine capitolerà per quieto  vivere.

Il presente in fin dei conti è il passato di domani, tutto ciò che viviamo è condizionato dalle sensazioni e dalle emozioni che ci assalgono nel momento in cui l’immanente accade.

Comunque la giriamo, secondo me, abbiamo sempre un gran casino da gestire e l’unico modo è sforzarsi di essere razionali, cosa molto difficile dal momento che siamo creature che di razionale generalmente hanno veramente poco.

Scrivere

Scrivere per me è stato importante a tratti, sempre, sempre, sempre nei momenti di cambiamento, sempre quando sento che la mia vita è a una svolta, sempre, a volte in maniera inconscia, quando ho bisogno di far sedimentare i miei sentimenti.

A volte, come in questo caso, non scrivo di ciò che mi spinge a scrivere, troppo personale, non voglio lagnarmi, credo di sapere bene dove sia il problema e lo risolverò, ma mi aiuta a elevarmi sopra il flusso dei miei pensieri per “osservarli” in maniera più ordinata.

Ieri riflettevo non senza un po’ di disappunto, su come si è spostato il modo di comunicare, si va verso la foto (mezzo che amo) e il video, molto più immediato, verso i messaggi vocali, chi deve comunicare non deve digitare, il poveretto che riceve deve essere in condizione di poter ascoltare con la dovuta riservatezza. Perché questo? Perché in fondo siamo pigri, abbiamo sempre meno voglia di impegnarci a fare qualsiasi cosa. Gli ausili alla sicurezza dei veicoli sono diventati “guida autonoma” così me ne sbatto di quello che mi circonda e faccio fare tutto alla macchina.

Purtroppo però non ho una capacità di scrittura tale per cui posso essere interrotto e riprendere quando mi pare. Quando iniziano a uscire le emozioni, i sentimenti, devo scrivere tutto di getto, dall’inizio alla fine, altrimenti si perde la magia e non la ritrovo più, quindi questo post purtroppo rimarrà in sospeso fino a che il sacro furore di una situazione analoga non mi coglierà in un momento in cui ho il tempo di scrivere tutto. 🙂

Post-produzione

Con post-produzione si intendono tutte quelle attività effettuate su un immagine (in questo caso) atte a migliorarne l’aspetto oppure a correggere uno scatto riuscito male per comunicare effettivamente ciò che si intendeva al momento dello scatto.

Ora, secondo me, la fotografia è un’arte, della quale mi ritengo comunque dilettante, che nella sua aspirazione più diffusa è fotografia istantanea. Tralascio volutamente tutta la fotografia di studio, tutta la fotografia di prodotto e/o pubblicitaria.

La fotografia istantanea è la fotografia che, con più o meno ausili tecnologici, o addirittura lavorando in maniera completamente manuale, ci permette di cogliere un istante specifico e congelarlo. Questo può essere fatto per tanti motivi, per ricordarsi i luoghi di un viaggio, per avere un ricordo di una persona cara in un momento specifico della sua vita e a distanza di tempo, oppure, e qui si rientra nell’arte, per comunicare un’emozione, un punto di vista… Le possibilità sono infinite.

Cerco di limitarmi esclusivamente a correggere luminosità e contrasto (se in digitale) con la finalità ultima di richiamare vagamente la dinamica della pellicola che tanto mi è cara, mentre mi limito esclusivamente a trovare la giusta curva di dinamica della pellicola in fase di scansione (che poi equivale a trovare l’esposizione corretta di stampa qualora si procedesse a una stampa con ingranditore). A volte correggo l’inclinazione della fotocamera perché sono molto intuitivo e spesso ho una frazione piccolissima di tempo per inquadrare e decidere le compensazioni di esposizione, quindi l’inclinazione del fotogramma ogni tanto va per i fatti suoi, ma solo ed esclusivamente perché equivale a inserire volutamente storto il negativo nell’ingranditore per ottenere una stampa dritta.

Tutto il resto, secondo me, resta delegato a chi “scatto, tanto poi c’è photoshop” ovvero l’atteggiamento di chi non è in grado di utilizzare uno strumento paradossalmente difficile e immediato al tempo stesso, usando poi, spesso e purtroppo male, un altro strumento, ancor più complesso ma che viene considerato come la panacea e la bacchetta magica che rende splendido (effetto wow garantito ma analizzando l’immagine non è così) ciò che non lo è.

Spesso è difficile ma cerco di rendere quello che vedo, in base al mio stato d’animo in modo di comunicare qualcosa. Se non riesco semplicemente con lo scatto, allora ho sbagliato qualcosa a monte, spesso nell’utilizzo dello strumento. Quindi devo impegnarmi di più.

D’altronde che bellezza c’è e che soddisfazione c’è senza impegno?

Vacanze vs. Ferie

Quando siamo piccoli andiamo in vacanza, quando siamo grandi in ferie.

Che differenza c’è in tutto questo? Lo stress. Sì perché le ferie sono un periodo di sospensione del lavoro al quale bene o male pensi sempre, alla fine se si lavora in proprio non si stacca mai del tutto.

Le vacanze sono un periodo di totale distacco dalla realtà di tutti i giorni e implicano un divertimento (inteso nel senso latino del termine, dove de vertere vuol dire volgersi altrove, figurativamente parlando con il pensiero ma generalmente nella nostra società implica anche uno spostamento fisico)

In vacanza ci si rilassa, ci si riposa. In ferie ci si vorrebbe riposare e rilassare ma alla fine tra incombenze familiari e voglia di tutti di staccare, risulta difficile e il risultato finale è spesso quello di tornare dalle ferie più stanchi e stressati di prima. Questo può generare dissapori con chi ci sta intorno e a volte impone un far buon viso a cattivo gioco per amor di tranquillità che alla fine innesca ulteriormente lo stress.

Vorrei tanto essere in vacanza ma sono in ferie. Dovrei prendermi una settimana in una caverna in un posto sperduto con provviste di cibo ed acqua, ma non ci provo nemmeno perché so che qualche rompiscatole riuscirebbe ad arrivare fino a lì.

Senza alcun interesse

Come sempre la vita ci sorprende e in un momento in cui si vede tutto brutto capitano incontri che ti sorprendono.

Certo gli incontri vanno e vengono, ci sono persone che magari non vedremo più ma che comunque un segno, grande o piccolo che sia, riescono a lasciarcelo.

Venerdì, dopo una giornata pesantissima, che rispecchia appieno il periodo professionale che sto vivendo, mi muovo per andare a incontrare (come abbiamo fatto tante volte) mia moglie a una stazione di servizio a cui arriva la metropolitana, per essere già in autostrada in un giorno di esodo. In questo modo siamo circa mezz’ora in anticipo sul viaggio piuttosto che trovarci a casa.

Arrivato al posteggio mi accorgo che devo spedire una mail importante all’avvocato della mia azienda e recupero il computer dal bagagliaio. Sorrido a una ragazza che mi guarda, vengo salutato e ricambio. Assorbito dal mio compito risalgo in macchina e faccio quello che devo fare, spegno il computer e lo ripongo nello zaino. Mi alzo, scendo dalla macchina e vado per riporre tutto nel bagagliaio.

A questo punto, visto che la persona ancora mi sorride guardandomi, mi domando e chiedo se fossi così svanito da non riconoscerla oppure se semplicemente era una gentilezza di quelle a cui non siamo più abituati.

La persona mi confida di avermi scambiato per un suo amico e pertanto mi ha salutato.

Visto che la zona non è delle più belle (motivo per cui arrivo in anticipo su mia moglie, decido di fare due chiacchiere con una perfetta sconosciuta. Abbiamo parlato di lavoro e quel tanto che basta di cosa facciamo in quel posto che si trascina dietro per forza qualche dettaglio personale. Il tempo passa in fretta tra uno scambio di biglietti da visita e una risata e parto in macchina con mia moglie dopo le dovute presentazioni.

Qualche giorno dopo mi arriva un messaggio via whatsapp nel quale, tra le tante cose c’è scritto “ci vuole sensibilità e credimi, non è da tutti stare vicino ad una perfetta sconosciuta in un’area di servizio, senza alcun interesse

Senza alcun interesse. Ecco, mi fa piacere che qualcuno nei miei confronti abbia notato tra tutto quello che c’è da notare che io non avessi secondi fini nel fare quello che per i nostri genitori (forse non tutti) e per i nostri nonni era la pura normalità.

Di per sé non so se ci saranno svolte lavorative da questo incontro, ma ultimamente devo sforzarmi di notare quando incontro persone a modo, perché altrimenti sarei sicuramente più triste e arrabbiato con tutti.

Il bisogno di scrivere

A volte lo scrivere è un bisogno che si fa sentire all’improvviso e ti assale senza che tu possa fare nulla per evitarlo. Scrivere aiuta a riordinare le idee che sono per loro natura caotiche in quanto si impone un cambio di mezzo che è ordinato per sua natura.

Il pensiero non ha regole, un linguaggio naturale, per quanto vivo e pieno di eccezioni e inflessioni dialettali come l’Italiano, ha delle regole da rispettare, quindi tradurre i pensieri in scritto è un’attività che aiuta a fare ordine mentale.

Oggi ho proprio bisogno di scrivere, tanti cambiamenti, un modo di vivere che mi sta stretto, ragionamenti (non miei ma che lavorativamente vengono imposti dai clienti) che non portano a nulla di buono.

Paghi la disorganizzazione altrui con richieste che sono sempre urgenti, clienti che non sono in grado di capire quello che comprano e dicono che non è stato consegnato, gente che semplicemente non vuole pagare, tutte cose che ti tolgono la gioia di lavorare.

Quando in un viaggio di poco meno di 400 km senti a rischio la tua incolumità troppe volte, troppe volte, e non hai più voglia di arrabbiarti…

Nella mia scelta di privarmi di un social network come Facebook, ho imparato a comunicare con le immagini, Instagram mi sta dando soddisfazioni. Sono riuscito a costruire una cerchia di persone che sanno leggere un pochino oltre una foto con toni brillanti e colori accattivanti, persone che sanno trovare il bello in una foto volutamente sfuocata, una foto scura e sgranata ma che abbia un significato. Ma scrivere mi manca, molto. Quindi arrivo qui per sfogarmi in un flusso di coscienza che sembra non abbia capo né coda.

La felicità a tutti i costi

Ieri sono stato colpito dalla considerazione fatta da una persona sul fatto che “gli altri” sono dei “vortici famelici” completamente incentrati sulla felicità a tutti i costi.

La cosa curiosa di tutto questo è che la frase è racchiusa in un pensiero più ampio condiviso su instagram, social su cui si comunica prevalentemente con le immagini. Idealmente le immagini dovrebbero parlare da sole. La cosa buffa di questo social è che spesso le persone danno peso solamente alle immagini e per un tempo inferiore ai 3 secondi, totalmente insufficiente per valutare in maniera adeguata una qualsiasi fotografia, ma solo per coglierne una sensazione superficiale adeguata solamente a mettere “mi piace”. Motivo per cui se posti un quadrato nero, con qualche hashtag, una decina di “mi piace” li becchi lo stesso. La cosa buffa di quanto appena descritto è che, leggendo sempre le didascalie, scopro queste perle che mi portano a scrivere le mie riflessioni.

Di primo acchito la mia mente è stata riportata a questo episodio che c’entra in parte con quanto ho capito intendere l’autrice della perla di cui sopra.

Sostanzialmente è quello che vivo tutti i giorni in una grande città del nord Italia, la gente che fa di tutto per apparire felice, per divertirsi a tutti i costi quando in realtà il divertimento, nel senso più stretto del termine, deriva dal latino, come riporta Treccani,

divertire (ant. divèrtere) v. tr. [dal lat. divertĕre, propr. «volgere altrove», comp. di di(s)-1 e vertĕre «volgere»]

ha il  suo significato più profondo nel volgersi altrove, ossia nel fare qualcosa di diverso dal solito. Il mondo moderno, poi, ha modificato questo significato aggiungendo una connotazione di “intrattenimento” attivo o passivo a questa attività. Se si corre tutta la settimana con mille impegni, il divertimento può anche semplicemente essere il distendersi sul divano a guardare un film. Può essere semplicemente andare a prendersi un caffè in centro e sedersi a un tavolino a guardare passare la gente. Può essere qualsiasi cosa.

Tornando a quanto dicevo di ciò che vedo sempre nella vita quotidiana di una grande città è che il divertimento deve essere omologato, assolutamente se no non ti diverti, ed è “a tutti i costi”. Cosa vuol dire? Vuol dire che se non vai all’ultimo evento mondano sponsorizzato, che se non vai a farti tirare secchiate di colore mentre corri nell’afa milanese, che se non vai ad ammassarti al salone del mobile, che se non passi metà della tua vita in fila al padiglione del Giappone, se non ti ubriachi marcio quando esci con gli amici, che se… In sostanza il divertimento diventa un impegno e sicuramente genera altro stress.

Io mi tengo il mio divano, voi fate quel che volete.